Venerdì 2 agosto la Chiesa di Sant’Antonio Abate a Breno si è gremita di un folto gruppo d’appassionati d’arte e cultura. Al centro dell’attenzione, la tela cinquecentesca del Romanino “Il Buon Samaritano”, recentemente acquisita dalla Fondazione Tassara. La tela resterà esposta al CaMus fino al 13 ottobre. Abbiamo colto l’occasione per approfondire l’opera e il suo contesto con alcune interviste.

Dell’arrivo dell’opera in valle avevamo già avuto modo di anticipare qualcosa. Come sottolineato da Wladimir Zaleski, Presidente del MITA Centro Culturale di Fondazione Tassara, “era importante fare l’inaugurazione in Sant’Antonio, luogo simbolo di Breno e del Romanino”. E infatti la tela – bresciana, databile attorno al 1540 – si è posta profondamente in dialogo con gli affreschi dell’abside, opera del medesimo autore. Stessa mano, strumenti e supporti diversi. Ma la medesima capacità d’incarnare il Manierismo, abilità di uno tra i principali pittori italiani del Cinquecento.

Wladimir Zaleski

Come ricordato da Federico Troletti, Direttore del Museo CaMus, “Breno rappresenta un centro focale per la maggiore concentrazione di opere ad affresco e su tela del maestro bresciano. Tra l’altro, probabilmente le opere su tela provenivano proprio da questa chiesa”. Chiesa che ha il pregio di ospitare anche la mano di Callisto Piazza, altro grande interprete di questo fecondo periodo storico-artistico, con cui il Romanino ebbe più volte modo di collaborare.

breve estratto dall’intervista a Federico Troletti

Per comprendere appieno la portata dell’opera, il CaMus ha in programma una serie di incontri di approfondimento, anche di natura teologica, che avranno luogo da qui all’autunno. Il fatto stesso che l’opera resti esposta al museo fino al 13 ottobre consentirà anche alle scuole di scoprirne la bellezza. Negli incontri verrà coinvolto Giovanni Valagussa, Curatore della Collezione Zaleski, che all’inaugurazione ha fornito un quadro molto dettagliato dell’origine e dell’importanza della tela.

“Caravaggio arriva una sessantina d’anni dopo quest’opera che, fino alla mostra al MITA a fine primavera a Brescia, in pochissimi avevano avuto la fortuna di vedere” ha commentato Valagussa. Un’opera dal carattere unico per più ragioni, tra cui la scelta dello stesso soggetto – la parabola del Buon Samaritano è rappresentata piuttosto raramente – e la presenza di una spada Dussack. La lama cinta al fianco del benefattore ha la punta leggermente ricurva, una tipologia di arma non molto diffusa nell’Italia del Cinquecento.

Quali ipotesi si possono quindi avanzare su questo dipinto così “anomalo”? Si ritiene che il committente che scelse di farsi ritrarre nella figura del buon Samaritano fosse uno straniero giunto – forse dall’Europa centrale – a Brescia a inizio XVI secolo. Uno straniero che con quest’opera desiderava sottolineare un suo gesto di beneficenza verso un’istituzione locale.

Giovanni Valagussa

Il contesto in cui il Romanino (al secolo Girolamo Romani, nato a Brescia attorno al 1484 e morto nel 1566 ca.) operava era quello di un mondo che aveva subìto una serie di stravolgimenti. Come messo in evidenza da Valagussa, “Romanino faceva parte di un gruppo di pittori lombardi che guardavano al vero in modo attento e quasi affettuoso”. Il loro ritorno ad una “pittura della realtà” avveniva dopo che il Rinascimento aveva esaurito la propria forza propulsiva.

Il “divino” Raffaello era morto, con grande sconcerto dei contemporanei. Roma era stata saccheggiata dai Lanzichenecchi. E gli artisti più accorti erano appunto rimasti spiazzati da questi sconvolgimenti del mondo a loro noto. Ecco allora che il Romanino raffigurò sì le sibille a Pisogne in Santa Maria della Neve, prendendo spunto dalla Cappella Sistina. Ma le dipinse in un atteggiamento quasi di scarmigliata follia: sono, per così dire, “impazzite”.

Guardando anche tra i suoi affreschi in Sant’Antonio a Breno – successivi a Pisogne – il capitolo 3 del Libro di Daniele viene rappresentato con grandiosità teatrale che va oltre il testo. Sui palchi, gli spettatori si agitano e vociferano. Le scenografie sono affollatissime, le composizioni grandi e folgoranti. Note importanti per inquadrare meglio il contesto.

Interessante notare come attorno alla preparazione di questa mostra, come riporta la pubblicazione “Romanino e il Buon Samaritano a Breno”, fresca di stampa, siano nati anche episodi curiosi. Il Museo Camuno è infatti recentemente venuto in possesso, a seguito del rinvenimento sul mercato antiquario, di una terza porzione di un’opera più vasta. Si tratta del dipinto “Tre teste virili”, di cui finora si disponeva solo di due lacerti. Un’opera di cui è complesso stabilire un’attribuzione certa tra il Piazza e il Romanino, anche se si propende per quest’ultimo.

l’augurio di Wladimir Zaleski per chi avrà piacere di vedere l’opera al CaMus

Ricordiamo che l’opera “Il Buon Samaritano” del Romanino, dopo l’inaugurazione del 2 agosto in Sant’Antonio resterà esposta al CaMus, il Museo Camuno in via Garibaldi 8 a Breno, fino al 13 ottobre. L’ingresso è gratuito e gli orari di visita sono i seguenti:

lunedì-giovedì dalle 9 alle 12,

il venerdì dalle 15 alle 18,

il sabato dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18,

la domenica dalle 15 alle 18.

da sinistra: Giovanni Valagussa, Lucia Botticchio, Federico Troletti, Massimo Ghetti (Fondazione Tassara), Wladimir Zaleski

Le interviste complete a Lucia Botticchio (Assessore alla Cultura del Comune di Breno), Wladimir Zaleski (Presidente MITA Centro Culturale Fondazione Tassara), Federico Troletti (Direttore del Museo CaMus) e Giovanni Valagussa (Curatore Collezione Zaleski) si potranno ascoltare durante la puntata di VocePRESENTE in onda alle 10:10 di venerdì 16 agosto. La puntata verrà poi caricata sulla pagina della trasmissione.

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