Olio su tela del Pitocchetto, al secolo Giacomo Ceruti, la “Lavandaia” è esposta presso la Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia. Lo sguardo della protagonista cattura e si lega indissolubilmente a quello di chi, a sua volta, la osserva.
Lungi dall’ammaliarlo, lo conquista e attrae a sé con un potente magnetismo. Quelli della lavandaia sono occhi attenti, che scrutano l’anima senza fare sconti a nessuno. Ma il verdetto che emettono resta, da sempre, muto.
La settecentesca lavandaia del Ceruti non ha nome. Ha solo un volto, un contesto e un mestiere. Come tante altre donne di diverse epoche storiche, è espressione di quell’attraversare i secoli senza proferire parola. Ecco perché “Il silenzio della Lavandaia”, breve ma intensa opera letteraria di Paola Carmignani, è un titolo tanto evocativo.
Prova a raccontare quel mutismo forzato, messo in bocca a intere schiere femminili. Mani leste, dedite al lavoro, alla casa e alla famiglia. Occhi veri, spalle curve, schiene dritte nonostante quel ripetuto abbassarsi verso l’acqua, a “resentare i panni”.
In quella dimensione, il lavatoio, che oggi rappresenta un monumento al nostro passato. Un monumento alle donne. Di solito venivano ritratte dal dietro, in una posizione offensiva che non rendeva loro giustizia. Lo racconta Paola Carmignani, giornalista e autrice a lungo critica teatrale del Giornale di Brescia.
Una donna che, delle parole, ha fatto il suo strumento principe per portarsi nel mondo. E che ricorda quando, da liceale, frequentava le stanze del museo incontrando a più riprese lo sguardo silenzioso di questa lavandaia. Un silenzio che chiede, a gran voce, “perché?!”
Abbiamo assistito alla presentazione del libro lunedì 26 agosto a Bienno. Nel cuore del borgo medievale, lontani dal vociare allegro e tumultuoso della MostraMercato, il testo è stato raccontato in un cortile privato.
Il secondo di quattro incontri voluti e portati avanti da Anastasia Guarinoni, che vanno sotto il nome di “Inciampi letterari”. Accompagnata dalla voce di Monica Ducoli, Paola Carmignani ci ha portati dentro e oltre il testo, svelando come e perché questa tela ancora non smette di stregarla.
Un’opera la cui protagonista non incarna solo le tante generazioni di donne senza diritto di parola, ma le schiere stesse degli ultimi. Le lavandaie si collocavano in fondo alla scala sociale. Donne sicuramente stanche, forse tristi, ma pur sempre fiere della propria dignità.
Ecco perché questo sguardo ci chiama. Dialoga direttamente con quella parte di umanità che alberga in ognuno di noi e che, corsi e ricorsi storici, ogni tanto ha bisogno d’essere risvegliata. Riaccende il bisogno di una certa questione morale.
La lavandaia, sul cui nome proprio possiamo soltanto fantasticare, non ha altro che la fierezza del fare e del saper fare un mestiere. Incarna il senso stesso della “brescianità”, una parola a detta dell’autrice un po’ scivolosa.
Sapendola cogliere, ci rivela un orgoglioso miscuglio di determinazione, perseveranza e attaccamento al lavoro dal quale la Valle Camonica per tradizione e forma mentis di certo non esula. Una capacità del trasformare nel (e proprio grazie al) potere del fare, del costruire. Un esempio fra tutti: l’attività di Manlio Milani.
Tra le foglie d’ortensia e il bagliore delle candele, si sono alternati il racconto del libro e quello dell’opera. Con pennellate leggere, intime e a volte feroci. Intinte nei pigmenti dei ricordi d’infanzia della stessa Carmignani – dove la lavandaia Rina era presente con il suo buon odore di bucato il giovedì – e delle letture che da sempre la accompagnano.
Le lavandaie hanno destato più e più volte, in ambito teatrale e letterario, una certa curiosità. Ma questa in particolare, grazie alla sua brescianità, si meriterebbe un’attenzione specifica.
L’idea esposta dall’autrice è semplice, ma al momento ha trovato poco ascolto. Far sì che sia proprio la Lavandaia del Pitocchetto a diventare il simbolo di Brescia. Perché in fondo, forte del suo silenzio operoso, ne rappresenta tenacemente l’anima più di quanto non lo facciano la Vittoria alata, Ermengarda, né la stessa indomita leonessa.
Un libro piccino quello presentato nel Cortile LaGibigiana, in via Luzzana a Bienno, ma già grande del Premio Microeditoria di qualità 2023. E che continua a crescere nella consapevolezza di chi lo assapora, ascoltando le parole mai dette e le voci mai sentite di tutte quelle lavandaie passate alla storia senza nome, talvolta senza volto.
Spesso intente sì a cantare mentre fanno andare le mani callose. Ma mai a raccontarsi. Negate del potere di creare, con le proprie mai dette parole, una Storia diversa. Ci chiamano oggi a fare buon uso, anche per loro, del nostro diritto al parlare, scrivere e, semplicemente, esprimerci.
Le interviste integrali a Paola Carmignani, Anastasia Guarinoni e Monica Ducoli si potranno ascoltare durante VocePRESENTE di venerdì 6 settembre alle ore 10:05. Sarà l’occasione per scoprire insieme ulteriori suggestioni e commistioni fra linguaggi espressivi e opere d’arte. Dopo la messa in onda, la puntata si potrà riascoltare dalla pagina della trasmissione.