Con l’avvicinarsi dei Giochi olimpici Milano Cortina si moltiplicano pareri e occasioni di riflessione. Le XXV Olimpiadi invernali si portano appresso anche una dose di preoccupazione da parte dei cittadini che per la montagna auspicano un modello di sviluppo diverso.

Preoccupazioni che abbracciano un’area ben più vasta rispetto a quella direttamente coinvolta nelle gare.

Venerdì 24 gennaio, presso la Casa delle Associazioni a Darfo BT, si è tenuto il secondo incontro del ciclo La montagna che resiste. Titolo della serata: Il grido della natura.

Il titolo ben sintetizza il timore degli organizzatori, che – con un profondo desiderio di accrescere la consapevolezza del pubblico – hanno contestualizzato il tema dello sviluppo delle terre alte fornendo un quadro di riflessione e riportando alcuni casi specifici legati all’impatto degli impianti sciistici.

Presupposto di partenza: “Stiamo vivendo come la montagna viene consumata più che vissuta.”

Come anticipato sopra, non si trattava di un incontro isolato, ma riprendeva il filo del discorso dalla serata di mercoledì 15 a Malegno, che verrà ulteriormente approfondito il 31 gennaio a Edolo.

La montagna non si arrende è invece il nome della mobilitazione diffusa in programma per domenica 9 febbraio, come ci racconta Adarosa Di Pietro del Collettivo 5.37, nonché moderatrice dell’incontro del 24 a Darfo:

A destare la preoccupazione degli organizzatori ci sono più fattori. Tra questi, la reiterata diffusione di un modello di sviluppo messo in discussione dal cambiamento climatico, nonché il timore che un sovraccarico di presenza antropica possa alterare irreversibilmente il delicato equilibrio delle aree cosiddette marginali.

Agostino Agostinelli, Vicepresidente di Cipra-Italia (la Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi), figura di grande esperienza nella gestione di parchi, ha fornito una chiave di lettura umanistica.

Partendo da Gadda e Calvino, spingendosi fino a McEwan e Camanni, ha fatto emergere con delicatezza e forza due domande: Se una cosa si può fare, ha senso farla? Possiamo continuare con questo modello di consumo delle risorse?

“Tendiamo a usare il territorio come fosse un pavimento. Ma è il sistema su cui si organizza la nostra vita quotidiana.” Urge un cambio di paradigma e di metodo, in cui la tecnologia deve mettersi concretamente al servizio delle aree più deboli. Pena: l’incremento del divario.

Una riflessione che deve abbracciare anche la risorsa energetica principale dei nostri tempi, per non dire di sempre: il cibo. “La Pianura Padana, tra i territori più fertili al mondo, viene consumata per la logistica e i data center.” E poi ancora: “Va spezzata la cultura che riproduce in montagna la cultura della città.”

Agostino Agostinelli, Pietro Confalonieri

Il cibo come conduttore di valori attorno al quale creare alleanze è anche al centro del lavoro del Biodistretto di Valle Camonica, qui rappresentato dal Presidente, Pietro Confalonieri.

Confalonieri ha rimarcato l’importanza di preservare non solo le aree, ma anche l’autentico significato delle parole. Tra queste, il termine “futuro”.

“Oggi come oggi sappiamo che costruire altre piste sciistiche non è futuro.” Com’è noto, si tratta di opere la cui realizzazione è resa possibile grazie a cospicui investimenti pubblici.

Il gruppo della Presolana e l’area del Tonale sono fra i luoghi interessati da nuove opere legate al comparto sciistico.

Si tratta di aree in cui è riconosciuta la presenza di specie endemiche sia a carattere vegetale che animale. L’area della Presolana – la mente va subito agli impianti di Colere – è, in modo particolare, casa di alcune creature che non si trovano altrove. Gli entomologi le hanno rinvenute soltanto qui, in un areale estremamente limitato.

Davide Pedersoli

Davide Pedersoli, che per l’Entomologia coltiva una passione viscerale, ha fornito un quadro composito popolato da coleotteri, ragni ed altre forme di vita talvolta minuscole. Esseri viventi per il cui studio i fondi appaiono limitati.

E le cui scoperte inducono a pensare che, di queste aree, conosciamo davvero poco. Un poco che – questa la speranza di Pedersoli – se approfondito e messo a sistema stimolando un turismo più attento, potrebbe portare a delle forme di sostentamento.

O per lo meno potrebbe sollecitare un livello d’attenzione tale da garantirne la tutela. E, con essa, la salvaguardia di aree il cui rischio di compromissione ambientale dato dagli impianti dello sci è stato posto in evidenza a più riprese e in più ambiti.

L’incontro del 24 gennaio è stato organizzato da MTO 2694, Ape Brescia, Unione Sportiva Stella Rossa, L’ Oco e Collettivo 5.37.

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